No, se esci a cena con me non ti psicanalizzo, al di là del fatto che non sono uno psicanalista ma uno psicoterapeuta d’approccio non analitico, benché abbia solide competenze di psicodinamica. Capito qualcosa? No? Non importa, perché non sono seduto al tavolo di questo ristorante a insegnarti la psicologia, sono qua per tanti motivi, la maggior parte dei quali viscerali, ma l’idea di mettermi a fare della clinica mentre ti verso un bianco mosso, proprio no; be’, a meno che tu non ti metta a parlare con il tuo amico immaginario o a contare tutti i chicchi di riso nel piatto.
Chiaro, se fossi un sarto saprei riconoscere il taglio del tuo vestito, se fossi un parrucchiere potrei capire se il colore dei tuoi capelli è naturale o meno; essendo uno psicologo, forse, posso intuire qualcosa di te dalle tue parole più di quanto potrebbe un tassidermista. Però, no, non ho voglia di essere il mio lavoro stasera. Vorrei essere rapito, perdere la testa non usarla, quindi non preoccuparti e fai come se io fossi un idraulico; anzi, no, un idraulico no perché non ho tutti quei soldi. Ma questo è solo l’inizio per noi psicologi in campo relazionale. Il meglio si ha quando litighiamo con i rispettivi partner perché, prima o poi, invariabilmente, arriva la frase: “… Proprio tu che sei uno psicologo!” o “Ma con i pazienti fai così?”, che nelle acuzie diventa: “Sei proprio uno psicologo di merda”; dopo l’esame di stato, questa è la seconda conferma che, in fondo, ho una professionalità accertata. Vista la frequenza, suppongo sia troppo stuzzicante poterci dire che siamo i più pazzi o, in antitesi, ribaltarci addosso la distorta aspettativa sociale per la quale dovremmo essere anime disincarnate che aleggiano sulle umane insicurezze del mondo, intoccati da esse. Non si rendono conto che quanto più imprecisi possiamo sembrare nel rapporto, quanta più pancia e meno testa mettiamo, tanto più c’è del sentimento in gioco; dovrebbero essere abbastanza felici, abbastanza dico, che con loro si sia dei pessimi psicologi.
So di un collega ormai così terrorizzato dalle conseguenze di annunciarsi a una donna come psicoterapeuta, che va dicendo alle nuove conoscenze di essere un elettricista; loro rimangono folgorate. Conosco almeno una manciata di ottimi terapeuti che hanno, o hanno avuto, delle relazioni affettive terrificanti. Io, del resto, non faccio testo ma scrivo testi e presto orecchio a donne inintelligibili che non frequenteresti. Quindi, siamo lontani dalla pace dei sensi e spesso più vicini al dolore di quanto si pubblicizzi. Sia chiaro, non occorre aver passato tutte le sofferenze delle umane genti per poter aiutare le persone, così come un bravo oncologo non deve aver avuto necessariamente un tumore per curare al meglio un paziente. D’altro canto, mi chiedo se vi affidereste a un terapeuta che abbia provato sulla propria pelle tutto il ventaglio dei disturbi mentali elencati sul DSM per meglio potervi comprendere. No, grazie al cielo non dobbiamo essere dipinti con tutte le tinte della sofferenza come il ritratto di Dorian Gray. Tuttavia abbiamo le nostre oscurità che sono anche utili a indagare le oscurità altrui; oscurità che potranno apparire tenebrose agli occhi di coloro che vorranno, per amore o amicizia, avvicinarsi ad esse. Ne conosciamo i perimetri, le sappiamo gestire, facciamo quotidianamente in modo che non ci danneggino e, state sicuri, faremo in modo che non ne abbiate a patire, almeno non troppo. Ma, ricordate, siamo persone con tutti i limiti che ciò implica e con tutti i vantaggi che ne conseguono in terapia, perché, vi rivelerò, al di là di qualsiasi approccio, in terapia il paziente starà meglio proprio in virtù del fatto che (ri)costruisce una relazione genuinamente umana. Non ultimo: noi non siamo esattamente le nostre parole, a noi non è richiesta identità fra “insegnamento” e personalità poiché noi non siamo preti né predicatori, noi siamo professionisti. Insomma, a cena si va al ristorante e non nel mio studio. E ora che siamo qua, dimmi: che musica ascolti? Basta questo per capire moltissimo, e senza la laurea.