Bello quando, di buon umore o per attitudine, decidiamo di offrire noi la cena o l’aperitivo a chi ci sta accanto, cioè, come si dice qui a Milano con piglio ancora anni ’80: “Stasera mando io!”. Succede però, e non troppo raramente, che s’incappi in qualcuno particolarmente affascinato dalla nostra generosità, una persona che s’affeziona alla nostra prodigalità e che, in parte da noi diseducata, finisce per non fare neanche più il gesto di aprire il portafogli poiché siamo noi che, alla fine, “mandiamo”; si arriva al punto di coprire per l’ennesima volta il debito per un senso di vergogna che dovrebbe toccare il furbacchione e che invece colpisce noi, così finiamo ad usare la generosità per tamponare l’emergente sensazione che si stia subendo qualche raggiro: se prima offrivamo con entusiasmo, in seguito, con chi si approfitta così smaccatamente di noi, usiamo la generosità per scansare l’imbarazzo e sentirci migliori: dobbiamo esserlo per forza dato che, così pacificamente, continuiamo a essere prodighi nonostante l’offesa!
Ci si attarda al tavolo sbagliato non più per il piacere della compagnia di chi ci manipola ma per non abbandonare il nostro riflesso più bello, quello migliore, lì a soffrire per il contrasto fra la ferita narcisistica patita e i continui tentativi di sanarla. Come finisce? Ci si stanca abbastanza velocemente di essere presi in giro, ci si lamenta della cosa con qualcuno e, facendo tre passi indietro molto lentamente, s’inizia a evitare la persona arida che, nel frattempo, ha preso quello che voleva o almeno quello che gli abbiamo concesso. Sì, scorretto e fastidioso.
E allora, accidenti, perché accettiamo così a lungo negli affetti l’inganno e la sperequazione? Quanto raggiro c’è nell’idea che l’amore debba essere sacrificio di sé! Quanto raggiro e quanta implicita, subdola ipocrisia nel tenere in vita una relazione d’amore sbilanciata nella quale il sacrificio dovrebbe essere il riflesso della nostra enorme capacità di amare quando invece, così spesso, è il riflesso dell’opposto. Siamo d’accordo: i compromessi vanno accettati, un margine di squilibrio forse è fisiologico e due gocce di masochismo rendono il tormento e l’estasi più profumate. Ma sacrificare ciò che intimamente sentiamo buono per noi, credetemi, non è amore. Dare, dare, dare e ricevere poco, poco, poco non parla di amore, né di quello della persona che ce ne priva né di quanto noi siamo in grado di amare; tuttalpiù di quanto noi siamo in grado di sopportare nell’attesa di essere amati. Per quanto non sia raro vedere l’amore coniugato con il dolore, si tratta comunque di un matrimonio infelice i cui figli saranno l’incertezza, l’incuria, l’assenza o il rifiuto. Né si creda alla persona che rima la parola “amore” con “timore” solo perché, per debolezza o comodo, è più incline ad amare chi la odia che chi la ama più di quanto lei voglia. Chi prende senza dare non ama.
Chi ama senza ricevere, mi rammarica dirlo, è più coinvolto dai propri sentimenti che dalla persona alla quale sono diretti, sicché avrà maggior facilità a perdonare gli inganni che a ricredersi sulla scelta fatta. Cosa ci sarebbe, d’altronde, di tanto amabile in coloro che non ci vogliono e non hanno cura di noi se non l’investimento affettivo che noi abbiamo compiuto su di essi? È che ci sentiamo così vivi quando amiamo che, pur consapevoli dello squilibrio, riusciamo a dire addio solo quando smettiamo di sperare o di temere, accettando che, insieme alla persona, se ne vada anche la nostra immagine più bella. Vi è una sottile differenza fra generosità e masochismo, così come fra amore e sacrificio: che gli dei vi diano il dono di saper distinguere, in modo da evitare parecchi errori e sciocche idee; lasciate a loro l’identità fra immolazione e amore, voi non avete la loro stessa tempra né il loro stesso tempo. Come finisce? Se tutto va bene ci si stanca di sperare poco e ottenere nulla, ci si stanca delle giustificazioni, delle bugie. Si realizza che non tutti sanno o, il più delle volte, semplicemente vogliono mostrarci lo stesso amore che abbiamo mostrato loro; che alcuni esistono solo come esempi di ciò che dobbiamo evitare; che si è ben poco affascinanti in questa versione di noi così deprezzata. Dopo un dolore chiassoso e, poi, lo sforzo di mostrare un’indifferenza che non si prova, ammutoliamo e, facendo tre passi indietro molto lentamente, mettiamo in salvo il cuore.