Vi ricordate com’era fino a qualche anno fa quando finiva un amore? C’era chi teneva tutto: gli scontrini di quella volta del gelato in centro, i biglietti del cinemino, le foto al mare sfocate e di sbieco; tutte cose che col tempo finivano nel fondo di qualche cassetto a fare spazio agli elastici che proprio non si possono buttare, non si sa mai.
Quindi c’erano quelli che rispedivano tutto al mittente: andavano all’ufficio postale con lo sguardo torvo e in mano una scatola con dentro il sassolino che solo loro sapevano cosa voleva dire, quel braccialetto d’argento con il nome sulla placchetta, regali e, di solito, pure una lettera incazzatissima; peccato che i ricordi non partissero insieme alla scatola. Poi c’erano quelli che buttavano via ogni cosa o, meglio, facevano una pira e improvvisavano un fuoco purificatore che stavano lì ad osservare con la lacrimuccia; d’altronde con quanta più forza si prendono le distanze, tanto più forte è il sentimento che legava. Un’ultima categoria, quella dei confusi, faceva un po’ tutte queste cose insieme: è fattibile. Agli estremi, quelli a quali fregava poco e saltavano il problema a piè pari e, dall’altro lato, chi, a furia di portare fiori sulla tomba altrui, ha lasciato il proprio giardino senza colori.
Categorie che, in un certo qual modo, esistono ancora oggi anche se odiernamente le cose si sono complicate. Con la tecnologia, l’addio è uno stillicidio interminabile poiché basta un nonnulla per riesumare, tramite social and Co., ricordi e volti. I cuori feriti si curano come possono: bloccando le persone su Facebook, su WhatsApp, su Instagram o in rubrica, cancellando le proprie foto, facendo mente locale a quelle nelle quali si era taggati, adottando le miglior strategie consigliate da Salvatore Aranzulla per ripulire smartphone e PC. Perfetto. Poi, quando ci sembrava di stare un po’ meglio, salta fuori l’audio ricevuto mesi prima nascosto nel sistema e inizia il doloroso viaggio nella metafonìa, ad ascoltare la voce dei morti. L’addio, post 2000, è diventato uno stato mentale più che un dato reale, condannati, per saltuario masochismo o nostalgica curiosità, a spiare il prosieguo della vita di gente che, come vita vorrebbe, avremmo dovuto lasciare nel passato. Un tempo gli ex venivano preservati nella memoria, in criostàsi, connotati per sempre con quelle qualità e caratteristiche che ce li avevano fatti amare, poi odiare amandoli, poi amare odiandoli, poi addio. Adesso ne possiamo seguire il percorso di vita, i matrimoni, i figli, le evoluzioni e le involuzioni fisiche. Trattenersi dal vederne il volto sui social implica una forza di volontà incredibile, un po’ come quella di chi deve smettere di fumare e ha a un metro da sé una sigaretta e un accendino. D’altro canto, questi lunghi addii appaiono innaturali o, per lo meno, più dolorosi del previsto, con l’aggravante di sottolineare implicitamente la nostra debolezza nel non avere la capacità di cedere alla tentazione di guardare, spiare, controllare e, quando si perdere la pazienza, lasciare messaggi acidi perché si ha la prova che la vita delle persone una volta al nostro fianco prosegue placidamente senza il nostro supporto, anzi, con quello di qualcun altro. Però, dai, alla fine la vita prosegue anche per noi che sappiamo come iniziare un amore ma che poi perdiamo le istruzioni quando si tratta di un addio e, ognuno, s’arrabatta come può.
La morale? Se ci mettete una pietra sopra non rimaneteci schiacciati sotto.