Sono nato in un’epoca nella quale essere moderni voleva dire riavvolgere le musicassette con la Bic, come una majorette isterica. Adesso, previo abbonamento, hai tutta la musica del mondo a disposizione, unlimited, con il piccolo limite che se un tempo rimanevi incantato per mesi con lo stesso disco che consumavi, imparandolo a memoria, ora salti da un artista all’altro con un certo grado di disattenzione, senza affezionarti poi troppo a nessuno.
Non so, però, se sia successo anche a voi di pervenire, un po’ per caso, a una canzone mai sentita prima che assume di colpo, per affinità elettive, un’importanza capitale. Cioè, com’è che sono riuscito a vivere una vita serena senza conoscere questa favolosa canzone? E giù a riempirsi le orecchie per giorni, in casa, per la strada; che dire, poi, dei film mentali musicati da quella canzone che sembra essere stata scritta specificatamente per noi?
Trovo davvero magico, e in una certa misura un po’ inquietante, che alcune cose e soprattutto alcune persone delle quali prima neanche sospettavamo l’esistenza, diventino, a un certo punto, così essenziali da portarci a pensare che non potremmo vivere senza di esse quando, in realtà, siamo stati vivi e vegeti per molti anni prima di conoscerle. È una di quelle illogiche stravaganze dell’amore tale da renderlo più intrigante dei dati di fatto. Cioè, com’è che ieri ero sereno e adesso se non vedo o non sento quella persona perdo il sonno? La neurochimica ci dice che in quei frangenti il nostro cervello sta a mollo come una saracca in una salamoia di ormoni quali dopamina, norepinefrina, vasopressina, ossitocina e altri che dirsi tossicomani è poco; però ciò non consola o, per lo meno, non cambia la sostanza. Oltre a questa cosa pazzesca di una variabile con un volto e un nome che casca perpendicolarmente sul nostro percorso con una forza tale da deviarlo, si ha, per contro, il drammatico processo inverso quando si perde l’amore. Una persona, una volta indispensabile e primaria per importanza, deve poi essere ricollocata in una zona mentale in cui verrà ridimensionata fino all’innocuità. Cioè, com’è che fino a ieri eri la cosa più importante e da domani, boh, rischio di non vederti mai più? Mai più, dico! Quella stessa persona che avevate tenuto abbracciata con quel trasporto, i cui baci vi cambiavano la giornata, alla quale avete rivelato cose che a nessun’altra. “Mai più” è l’infinito che la mente umana non può comprendere; è funereo, così simile alla morte che perdere un amore fa male come un lutto. Se un addio è un MAI PIU’, allora davvero: “… tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”? No, ovviamente c’è sempre la memoria, la quale però non fa istantanee precise ma rielabora, seleziona, falsifica e ci lascia, alla fine, ciò che può e vuole. Quindi ci si sposta verso la prossima canzone indispensabile. Resta la spiazzante realizzazione di questo: se eravamo vivi prima di quella cosa indispensabile e lo possiamo essere dopo, allora essa, concretamente, non è mai stata necessaria. Cosa allora lo è? Basta cambiare prospettiva per salvarsi dallo sconforto. Nessuna canzone è indispensabile se non trova qualcuno che, ascoltandola, la qualifichi come tale. In ciò, in definitiva, consiste la supremazia di chi ama su chi viene amato dato che, come già detto altrove, si sopravvive di ciò che si riceve ma si vive di ciò che si dona.