Sarà che sono nato negli anni ’70, che c’era da mettere mano anche semplicemente per cambiare i canali del televisore con la manopola da girare di fianco allo schermo. Sarà che la maestra insegnava che fra il soggetto e il verbo non ci vuole la virgola e che i punti di sospensione sono tre… né più né meno. Sarà stata, poi, tutta la letteratura che ci girava intorno e i maledetti cantautori ma sta di fatto che la comunicazione al tempo di internet per noi non più giovanissimi, o per me almeno, è un dolore. Dato che d’estate, per le vacanze, mi venivano dati da leggere almeno quattro libri e che il più breve era “Cent’anni di solitudine”, adesso col cavolo che ho il dono della sintesi richiesto dalla rete, ma questo è il meno. Chi non ha voglia non legga, poco male; le affinità elettive si scoprono per vie traverse non sempre brevi.
Il problema dell’umanità, però, non sono le mie lungaggini ma la comunicazione online, soprattutto quella affettiva, che si è fatta ostica.
Accadde in chat
La prima persona scrive.
La seconda risponde.
La prima ribatte.
La seconda sparisce.
La prima rimane con tutte le parole negli occhi ad attendere.
E attende, attende, attende…
Poi ricompare la seconda: “Scusa, era pronto da mangiare”. 😊
Ma figurati, che problema c’è, sono solo stato qua mezz'ora come un fesso ad aspettare una risposta, come se stessimo parlando al telefono e tu fossi andata/o a farti un giretto del quartiere, così, senza un “ciao, vado, devo cenare”. ☹
È semplicemente diventato normale comportarsi in maniera ineducata, ecco tutto, perché la gente è occupata, è al lavoro, ha la pasta sul fuoco e chissà cos’altro. E io non sono migliore degli altri, quindi tana libera tutti. Che poi nessuno mi toglie dalla mente che la comunicazione frammentata è già di per sé segno di disinteresse, quindi non fermatevi al significato ed indagate anche il significante. Ma questo è ancora nulla. Se provate a scrivere una frase con il punto alla fine, questo trasmetterà freddezza: c’hanno fatto una ricerca psicologica! Un tempo era un obbligo, sennò ti beccavi un segno rosso sul foglio protocollo. Tuttavia l’abisso, il vero abisso sono gli emoticon soprattutto se in combinazione con l’affettività. Ci rendiamo conto di quanto la nostra emotività venga condizionata dall’assenza e/o dalla presenza di un emoticon alla fine di una frase, soprattutto se esso sintetizza quella che dovrebbe essere un’intera frase? “Se ha messo il bacio allora è interessata/o? E col faccino che ride con le guance rosse cosa intende? Ma se gli/le mando un bacio fraintenderà? Mi ha mandato un poke: rispondo? E se poi ci prova? Uffa, mi ha dato la buonanotte senza il cuore!”. Da perderci il sonno. Per non parlare di quelli che non hanno tempo, sì, gli manca giusto quel secondo che serve per inviare un emoji. È tutto molto complicato, è tutto molto fraintendibile, siamo tutti molto spaventati dal rifiuto o dal rifiutare. Siamo lì, tutti in attesa, mentre qualcuno scrive contemporaneamente a noi, a quell’altra e a quell’altro ancora: li vediamo online, ma allora che diavolo aspettano? A chi stanno scrivendo? E ci rimaniamo male, terribilmente male. Ma è il futuro e quindi NO REGRETS, ve lo dice uno che smanetta davanti ai PC da quando questi manco avevano il floppy ma la cassetta magnetica. Programmi di grafica avanzata, UX, social engineering, CSS, editing video, social e chi più ne ha più ne metta a disposizione della psicologia, ci sono dentro fino al collo. Però, per quanto le chat possano essere moderne e gli emoticon variegati, nulla è come la voce al telefono e nessuna voce al telefono sarà mai come una persona di fronte che piange, sorride, ci bacia o ci rifiuta. Punto.