L’eccesso di ogni cosa fa danno, anche delle cose buone. Se state vagando soli nel deserto, oltre a interrogarvi sul perché e percome vi siate cacciati in tale pasticcio, la cosa migliore che possa accadervi è trovare una sorgente d’acqua. Tuttavia, provate a berne 6 litri e morirete per intossicazione da H2O; se il vostro peso non supera i 75 Kg ve ne basterà anche meno. Non fatelo, davvero, ed evitate anche di vagare soli per deserti. Insomma, per dire che eccedere non è mai la soluzione corretta, anche se le premesse sembrano consigliarlo. In questa logica ricade la tanto osannata COMUNICAZIONE, nello specifico quella di coppia. Siccome la nostra natura ci fa reagire a un eccesso con l’eccesso uguale e contrario, siamo passati da decenni (o secoli) di ruoli di genere macchiettistici con l’uomo in silenzio o a comandare e la donna querula o sottomessa ma entrambi mai efficacemente comunicativi, all’era attuale che vede lo strabordante successo della coppia che si dice tutto - che poi non è vero - o che ama darsi e dare l’idea di dirsi tutto. Sembrerebbe una cosa buona. Sembrerebbe.
Partiamo dal presupposto che gli sforzi per comunicare in coppia non sono inutili, tuttavia è una forzatura intellettuale (cioè un’intellettualizzazione, che è un meccanismo di difesa) quello che ci fa credere che i problemi di coppia siano derivati solamente da un deficit comunicativo ed appianabili con le funzioni cognitive più “alte”. Prova ne è la percezione di benessere le volte che si sta in silenzio al fianco del partner senza fare nulla di particolare; è forse in questi pacifici angoli d’esistenza che percepiamo più affinità di quanto accada nei momenti di ricca baldanza verbale; sempre che il silenzio non sia rifugio ma questo è un altro discorso. Ci sarebbe da riflettere sul fatto che, per quanto sia fattibile apprendere una migliore comunicazione di coppia, si potrebbe forse fare prima a scegliere una persona con la quale istintivamente si comunichi meglio e non una con la quale occorra apprendere un diplomatico stile comunicativo o, peggio, verso la quale piegarsi verbalmente violando l’etimo del termine che vuole che il dialogo sia “comune”.
Ciò che soprattutto sfugge ai fautori della comunicazione di coppia sempre e comune è che se esistono conflitti inconsci fra i partner, la comunicazione sarà inquinata da essi e, di fatto, accrescerà il conflitto perché, tramite essa, verranno veicolati quegli elementi inconsci ben nascosti sotto il tappeto delle parole. C’è anche da considerare che la spinta a volersi fare dire tutto dall’altra persona, cioè a penetrare la realtà altrui, è l’invasione tipica di coloro che vogliono esercitare un notevole quanto illusorio controllo sull’altro e, in casi meno frequenti, una masochistica spinta inconscia mirata a scoprire idee o situazioni vissute dal partner che potrebbero ferirci e umiliarci, demolendo la coppia stessa. Altra malsana configurazione si ha quando uno dei due partner ha un elevato livello di intimità comunicazionale con una terza persona, che guarda caso è del sesso opposto, andando a creare una triangolazione per la quale si ha col partner ufficiale un’affinità fisica e con l’altro si coltiva un’intimità verbale: una forma di infedeltà candeggiata. In definitiva, andrebbe accettato il fatto che la persona che amiamo, benché mira di pulsioni che la vorrebbero fare nostra nella sua interezza, rimane, in quanto “alter”, inconoscibile nonché sconosciuta a se stessa nella sua globalità. Perciò, vediamo di rasserenarci e accettare il fatto che una buona comunicazione di coppia è quella che accetta l’esistenza di alcune idee non espresse, di altre inutilmente esprimibili e di altre ancora, di fatto, inesprimibili.