Si può imparare a relazionarsi meglio con gli altri stando da soli?
Quante volte avete detto o avete sentito dire la frase: “Devo imparare a stare da solo!”, soprattutto quando una storia d’amore finisce? Grande fraintendimento questo! Grandissimo per un animale sociale qual è l’essere umano.
Grande fraintendimento anche in ambito psicoterapeutico, luogo in cui il paziente arriva con questo genere di richiesta: “… Alla fine sono passato/a da un rapporto all’altro, mi rendo conto che sono stato poco da solo/a, devo imparare a stare da solo/a …” Cosa che, in ambienti più informali, va di pari passo alla frase: “Devo imparare ad essere più dura/o, più egoista, pensare più a me”. Male, malissimo. Partiamo dal fondo.
Diventare più duri od egoisti, cioè rendervi peggiori, non può essere la soluzione migliore per voi né per la società, così come nessuno che subisca un furto in casa dovrebbe apprendere da questa sgradevole esperienza che la cosa migliore sia diventare un topo d’appartamento. Come credete che siano diventate malvagie alcune persone se non per mezzo di meccanismi di contagio del disagio? Davvero pensate di potervi svegliare più sereni la mattina sapendo di aver detto “ti amo” una volta di meno, di esservi privati di qualcosa che prima vi dava gioia? Credete davvero che la felicità si possa nascondere nel controllo del potere, della paura e della stessa felicità vostra e altrui? Fatemi aggiungere che la felicità non si nasconde neppure nell’imparare a stare da soli. Come scrisse J. H. Boss, se ti sembra felicità quella di allontanarti dalle persone, devi essere un dio, un eremita o una bestia.
Ma quando mai in questa nostra vita si sta da soli davvero? Che senso ha imparare una capacità che di fatto non useremo davvero mai? Non dobbiamo imparare a stare da soli, non dobbiamo neppure imparare, fatemi dire, a non appoggiarci agli altri perché avviene, è sempre avvenuto da quando siamo nati e avverrà ancora se la vita continuerà a scorrere: ci ammaleremo, avremo dei momenti di debolezza, di stress, delle paure o momenti di gioia che vorremo condividere; le altre persone, i loro sguardi, il loro aiuto, sarà sostanzialmente tutto ciò su cui possiamo contare. Poi ci saremo noi per loro, quando ci chiameranno.
Dobbiamo semplicemente imparare a scegliere bene queste persone alle quali affidarci, che possono prenderci in tempo se ci lasciamo cadere all’indietro. Altro che “soli”, altro che “bisogna pensare a sé prima di dedicarsi agli altri”! Beh, certo che se manca un Sé, manca anche tutta una vita. Dunque pensate di poter imparare a relazionarvi meglio con voi stessi e gli altri evitando la relazione con gli altri e quindi con voi stessi? Ok, mi si dirà, ma prima di relazionarmi meglio devo imparare come si fa! Io dico: relazionandoti meglio. Ma com’è possibile? Iniziando a parlare con altri nuovi, altri più giusti, modificando progressivamente vecchi assetti, vecchi pesi, ma tutto ciò all’interno delle relazioni (nel senso più ampio del termine) finché non inizierete a vedere con i vostri occhi che siete capaci di essere diversi, di attirare gente diversa, di gestire rapporti diversi e gratificanti. Imparare ad amare se stessi passa dunque attraverso la relazione con gli altri, scordatevi di apprendere l’amore per voi stessi chiusi in una stanza, così come non s’impara and andare in bicicletta leggendolo su un libro.
L’amore è relazione, la relazione è amore. Il paradosso è che il paziente o l’amico espongono il loro proposito d’intenti, il loro anelito all’eccellenza della solitudine, in una dimensione relazionale! Questo è il buon segno che ciò che deve essere integro lo è ancora, anche se difeso. Non dovete dunque imparare a stare in piedi sulle vostre gambe finché i muscoli e le ossa non sapranno sostenervi, ma dovete camminare finché non capiate dove si trova il vostro miglior luogo e dove, in esso, possiate trovare un posto a sedere, per rilassarvi e chiudere gli occhi. Nasciamo e moriamo nella nostra fisica unicità, ma nasciamo da una relazione e moriamo con qualcuno che ci tiene la mano, o che ci chiude gli occhi. Dall’inizio alla fine, come antenne che ricevono e trasmettono, partecipiamo ad una rete di relazioni, di voci, di comunicazioni e di segnali. E’ tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che siamo.
Questo testo è trascrizione di un mio video - GUARDA IL VIDEO