Body Identity Integrity Disorder
Qualche tempo fa pubblicai un video che raccoglieva sindromi psicologiche strane e rare, una persona lo vide e si riconobbe in una di queste sindromi, la BIID: Body Identity Integrity Disorder. Marco, lo chiameremo così anche se non è il suo vero nome, vorrebbe essere un disabile, vorrebbe che le sue gambe, che funzionano benissimo, non funzionassero affatto. Vorrebbe stare seduto su una sedia a rotelle per il resto della sua vita, perché questa è l’immagine mentale che lui ha di se stesso fin da quando è piccolo. La psichiatria descriverebbe il disturbo di Marco come un Disturbo Fittizio, tuttavia lui, in età precoce, aveva anche fantasie d’amputazione e questo, in effetti rientra nel BIID. Io e Marco ci siamo incontrati nel mio studio di Milano affinché lui stesso raccontasse la propria storia. Non perdetevi la seconda parte di questa intervista davvero esclusiva.
A: Ve bene Marco, allora, io ho fatto un piccolo spunto introduttivo per descrivere quello di cui parleremo ma vorrei che fossi tu a descrivere quello che ti caratterizza così fortemente.
M: Innanzitutto questo mio aspetto è cambiato nel corso della mia vita. Si è manifestato inizialmente nella prima infanzia però non ben definito, e dopo ha assunto una connotazione definitiva nel periodo della preadolescenza e adolescenza. Inizialmente avevo due aspetti. Primo, provavo abbastanza disagio a fare certe attività motorie e soprattutto le cose che implicavano la corsa, giocare a calcio, quello che facevano gli altri. Nello stesso tempo da piccolo avevo un’attrazione particolare per le persone con le stampelle, prive di una gamba e molti miei sogni andavano in quella direzione. Molte cose che gli altri vedevano come drammatiche io le vivevo drammatiche sugli altri ma rispetto a me io avevo il desiderio di andare a scuola con le stampelle o fare attività in queste condizioni. Quindi anche l’amputazione di una gamba era una cosa che esisteva nel mio immaginario.
A: Prima di tutto: lo consideri un disturbo? Cioè, qualcosa che ha disturbato la tua vita?
M: Io lo considero un disturbo nella misura in cui io, uno, non ho mai potuto realizzare questa cosa, e dico per fortuna nell’infanzia perché non era ben definita, infatti nell’adolescenza questo disturbo è cambiato, nel senso che il mio corpo è iniziato a piacermi tutto, inclusi gli arti inferiori, i piedi e tutto quanto ma il desiderio che io poi ho sviluppato nel corso del tempo era quello della carrozzina, quindi di non poter usare le gambe. Questo desiderio è stato molto più forte del primo. Quindi, quello che a me è mancato, e che è stato una frustrazione, è stato non poter vivere la vita che desideravo vivere, almeno nel momento in cui si è delineata bene. Ad esempio, nella prima infanzia, io proiettavo questo mio desiderio sull’incompletezza del corpo perché inconsciamente – facendo un piccolo percorso di autoanalisi ci sono arrivato – io temevo di dover dipendere dagli altri. Quando intorno agli 11, 12 13 anni cominciavano ad arrivare molte più informazioni sulla disabilità, e io ho scoperto che un paraplegico poteva essere indipendente, poteva essere autonomo e così via, il mio desiderio, prima legato alle mie pulsioni sessuali ma poi superiore a queste, è andato nella direzione della carrozzina. Tant’è che, tutte le volte che io mi alzavo la mattina, come un disabile ha il fardello della carrozzina, io invece non avevo questo e mi sentivo incompleto per questo. Quindi, da una parte, sapevo che questa non era una cosa normale ma dall’altra parte, quello che mi ha disturbato maggiormente non era il mio disturbo, per fare un gioco di parole, ma il fatto di non poter vivere nella condizione che io avrei voluto. Quindi, se non un disabile vero e proprio, almeno poter dire “da questo momento in poi io vivo in carrozzina …”.
A: Se tu avessi la possibilità, al di là delle leggi e di quello che è possibile o non possibile fare, utilizzeresti una carrozzina in maniera permanente?
M: Sì. Se potessi sì.
A: Ti faccio una domanda, come dire, nell’ambito morale del rapporto con la società … Domanda molto semplice: secondo te, chi guarda questo video, cosa pensa di te? Il fatto che tu voglia, come dire, simulare un’invalidità che somaticamente non hai, non è un problema morale per te?
M: Sì, molti degli aspetti che mi hanno creato più disagio sono questi. Allora, in primis, il fatto di non poterlo vivere: questa è stata la cosa peggiore in assoluto anche perché c’è anche un’età nella quale io avrei iniziato, quindi a me è mancata, come a un disabile reale manca tutta l’esperienza adolescenziale da persona normodotata a me è mancata tutta la mia adolescenza, quindi tutto il periodo dai 12 ai 13 anni, tutta l’adolescenza che è un momento di crescita in un corpo che mi rappresentasse, quindi in una condizione che mi rappresentasse. Quindi mi è mancata una vita da paraplegico. Dall’altra parte, un problema di sensi di colpa o comunque un forte disagio perché io sono ben conscio delle problematiche, non solo fisiche ma soprattutto psicologiche, le persone che vi sono costrette contro la propria volontà. Loro vorrebbero fare una vita piena, normale, eccetera invece hanno questa limitazione. Quindi io di questo ne sono perfettamente conscio. Mi ha creato disagio questo e il fato che non si può scegliere. Io ogni tanto vedevo un ragazzo, magari della mia età, e mi dicevo: “Perché a lui e non a me”. Per lui è una cosa insopportabile, mentre io al suo posto … Certo, pur con le problematiche fisiche che io conosco, anche indirette che questa condizione porta, io l’avrei sicuramente superata di più e sarei stato soprattutto nella condizione di vita più idonea al mio modo di essere. E dall’altra parte, il disagio maggiore, quindi più che una fantasia, è stata quella di dire: “No, io voglio essere così per davvero perché se sono così per finta sembra che io devo giustificarlo a tutti, poi sembra quasi un affronto verso altre persone. Quindi il discorso è, io non ho vissuto quello che avrei voluto vivere e non ho vissuto come avrei voluto vivere per una sola mera condizione di contesto sociale, solo per quello, solo perché non ne avevo la possibilità. Noi siamo esseri razionali, tante volte io avrei voluto non avere nessuno intorno, avere un posto da solo per vivere così, ma poi tu esci di casa, vai in carrozzina, vai in giro e la gente ti chiede. Se è successo per davvero, se è una condizione reale, tu riesci a motivare, se in vece non è una condizione reale è proprio una cosa finta.
A: Anche tu, Marco, hai parlato di un disturbo. La scienza psicologica, psichiatrica che sta studiando questa condizione dà una spiegazione che sta a cavallo fra la psicodinamica e la neuropsicologica. Nel primo caso si ritiene che le persone con BIID possano essere così insicure da cercare una condizione tale da poter attirare l’attenzione, l’interesse, la stima degli altri. Le spiegazioni neuropsicologiche invece suggeriscono una disconnessione, probabilmente anche su base genetica, fra l’immagine corporea interna e quella che abbiamo realmente. Un po’ come per la transessualità, per cui ci si sente in un corpo sbagliato. Tu che spiegazione ti sei dato di questa condizione? Hai parlato della tua infanzia, quindi è una cosa molto precoce …
M: Io propendo molto più per la seconda, per un semplice fatto, che la variazione di questa condizione, dall’utilizzo delle stampelle, all’utilizzo della carrozzina, dal fatto di avere una completezza corporea pur non potendo utilizzare le gambe, che è la condizione reale che a me attrae ma che soprattutto sento più mia … Il discorso di questa condizione è di essere autonomo. Quindi quello che mi ha fatto andare verso una condizione leggermente diversa per non dire del tutto diversa da quella che era reale, cioè dalle stampelle o l’amputazione alla paraplegia, è solo la questione dell’autonomia. Io voglio e vorrei comunque essere autonomo, quindi non è un discorso di attenzione su di sé, perché la cosa che più mi ha frenato è l’autonomia. Quando io pensavo che una persona in carrozzina non potesse essere autonoma, anche perché fino a qualche anno fa comunque era abbastanza così, perché tutto il mondo era concepito in modo che una persona che si muovesse in carrozzina fosse limitata ad accedere a tutta una serie di servizi, relazioni sociali, eccetera, quando ho scoperto che invece si poteva … A me non interessa assolutamente l’attenzione su di me, anzi, so benissimo che se una persona vede due persone identiche, una in carrozzina e una in piedi, va automaticamente da quella in piedi, quindi so benissimo che anche l’attenzione su di me sarebbe stata limitata. So benissimo anche che tutto questo avrebbe influito negativamente sulle relazioni sociali, sulla possibilità di uscire con gli amici, su tante altre cose. Però, la rinuncia di queste cose mi avrebbe dato una condizione di pieno agio con il mio corpo in tutte le altre condizioni. Ad esempio gli altri giocavano a calcio e io mi sentivo a disagio, gli altri mi prendevano in giro anche violentemente perché io ero diverso da loro … ma a me proprio non andava: non avevo coordinamento motorio, non mi piaceva, ero a disagio. Io avrei preferito andare in carrozzina e andare a fare due tiri sul campo da basket con gli altri e integrarmi in modo diverso.
A: Questa cosa che dicevi riguardo il coordinamento motorio … è un problema che hai fin da giovane. Ma lo hai indagato? Ha qualche spiegazione? Tua mamma o i tuoi genitori, ti hanno riferito che hai iniziato a camminare in tarda età? C’è qualche motivo per cui hai questo limite? Oppure questi limiti di deambulazione sono connessi al desiderio di non deambulare, per cui si tratta di un blocco psicologico che ti impedisce di deambulare in maniera ottimale?
M: Dunque, due aspetti. Uno, io camminato perfettamente all’età giusta. Quindi non c’è stato nessunissimo ritardo in nessun aspetto del mio sviluppo. Io ho camminato all’età giusta, l’unica cosa che non mi piaceva era fare i giochi che facevano gli altri bambini della mia età. Più crescevo e più il mio coordinamento motorio … non era sbagliato, piuttosto è come se io fossi perennemente a disagio con il mio corpo. Quindi sono stato seguito da tutta una serie di persone nelle visite di routine perché nessuno mai ha ritenuto di fare visite più approfondite dato che non avevo nulla. Ho fatto visite private e risultava tutto perfetto, l’elettroencefalogramma, tutto … Poi ho sofferto moltissimo di cefalea, che mi ha accompagnato per tutta la vita e probabilmente anche questa è dovuta al disagio che vivo. Ovviamente agli specialisti, di questa condizione, non ho parlato perché molti medici della medicina generale non psicologica, non psichiatrica non sono in grado di comprendere questa problematica, anzi, magari mi avrebbero anche, tra virgolette, curato peggio perché sembrava che io fossi matto anziché avere qualche sindrome fisica. Il discorso, quindi, è questo: di fisico non è risultato niente mentre io, personalmente, quando ho letto che questa sindrome può essere dovuta a un problema di corteccia cerebrale, io posso anche propendere per questa spiegazione, perché la percezione del mio corpo, e l’effettivo coordinamento motorio, … Ad esempio, se io lancio una palla la prendo al volo mentre con la racchetta da tennis non ci sono mai riuscito, in tutte le attività in corsa non sono mai risuscito mentre quando mi siedo il mio coordinamento motorio migliora. Io ho provato a giocare a basket in piedi e a giocare a basket in carrozzina, nel secondo caso, be’ certo non sono un’atleta, ma ho, innanzitutto, una migliore percezione di me stesso, prendo il gioco in una maniera più serena anche se faccio errori, inoltre mi accorgo che anche il coordinamento motorio è maggiore. Quando ho provato ad usare una carrozzina sia superleggera che sportiva, molte delle persone che erano con me avevano la percezione che io la usassi da sempre. E la prima volta che ho fatto questa esperienza era esattamente come io me la sognavo. Quindi i sogni che io avevo a 12/13 anni che poi sono arrivato a mettere in pratica 20 anni dopo, erano esattamente uguali all’esperienza, a come me lo immaginavo. Avevo una percezione reale di quello che era il muovermi in quel modo, pur non avendolo mai provato prima. Quindi il fatto di poter provare è stata una frustrazione ulteriore, perché da una parte mi ha fatto molto bene perché in quelle due o tre ore di simulazione mi sono sentito nei miei panni, ma finito quel momento è stato durissimo dal punto di vista psicologico rialzarmi. Un pochino come se si prova a far camminare un paraplegico reale per due o tre ore e poi lo rimetti in carrozzina, la. La frustrazione è stata molto simile. Questa frustrazione io ho cercato di indirizzarla, infatti sono molto sensibile a certe problematiche, mi impegno attivamente per l’abbattimento delle barriere architettoniche, immagino e riesco ad immedesimarmi in quello che possono provare le persone che realmente hanno questa problematica. D’altro canto questo mi crea ulteriore disagio perché mi dico “perché loro e non io”. E’ quasi come se ci fosse un’ingiustizia a monte perché il destino è stato male distribuito.
Questo testo è trascrizione di un mio video - GUARDA IL VIDEO (Prima Parte)
A: Ecco, prima parlavi di relazione. Quindi se tu potessi realizzare il tuo desiderio tu non guadagneresti attenzione ma la perderesti perché le persone tenderebbero istintivamente a dirigersi verso persone normodotate. Quindi, in quest’ottica, come immagini la tua vita relazionale? Con una persona consapevole della tua condizione? Oppure dovresti fingere anche con questa persona? Però sarebbe molto difficile nella vita quotidiana. Questa persona, immagino, dovrebbe essere consapevole del fatto che tu simuli l’invalidità. Come hai pensato una relazione di coppia o una relazione affettiva?
M: Dunque, innanzitutto più che pensare ho fatto una supposizione, perché è molto complesso, in quanto o diventa una condizione reale - ed è quello verso il quale io, potendo scegliere, propenderei – ma rispetto alla simulazione, la cosa migliore, sarebbe che gli altri non sapessero che è una simulazione. Se non ci fossero problemi etici o morali, io starei tre o quattro mesi in riabilitazione, imparerei a fare tutto in carrozzina, il tempo di adattare la casa, tornerei e vivrei da disabile reale con tutte le persone che sanno che io sono un disabile reale. Questa è la condizione migliore. L’età ideale sarebbe stata quella della consapevolezza di questa condizione, quindi 13-14 anni, quel passaggio di età. Per quanto riguarda le relazioni, non mi preoccupo, nel senso che, da una parte, io vorrei tornare a casa autonomo e poter vivere questa vita in maniera autonoma, e dall’altra parte, per quanto riguarda le relazioni, avrò meno relazioni ma avrò relazioni diverse. In sostanza, esistono delle persone attratte da questo tipo di disabilità. Io stesso ne sono stato attratto e ne sono attratto, ma è una sorta di proiezione sull’altro di quello che io vorrei essere, avrei voluto essere. Nel senso che, durante lo sviluppo sessuale, nell’impossibilità di condurre una vita in carrozzina, le mie prime pulsioni sessuali erano rivolte alle persone in carrozzina, a giovani in carrozzina. Queste pulsioni sessuali sono state molto più forti dell’orientamento sessuale. La mia principale attrazione era per i ragazzi in carrozzina, essendo la mia componente prevalente omosessuale piuttosto che eterosessuale, quindi era rivolto più verso i ragazzi in carrozzina. Ma la repressione di questo mio desiderio di vita da paraplegico, è stata molto più forte della repressione del mio orientamento sessuale. Mi spiego. Poiché l’omosessualità non era molto accettata nella società quando ero adolescente, per non dire che non era affatto accettata, e poiché io ho fatto esperienza di episodi di bullismo violento, il fatto di manifestare le mie tendenze omosessuali nel periodo della scuola superiore poteva voler dire ricadere in quello che mi era successo nella scuola media. Mentre nella scuola superiore fortunatamente le persone sono un pochino più civili, il fatto di essere apparentemente come gli altri, come la maggioranza degli altri, mi tutelava da queste cose. L’attrazione verso le persone in carrozzina, mi ha permesso addirittura di avere relazioni eterosessuali, nel senso che il mio immaginario di una ragazza in carrozzina era molto forte pur essendo omosessuale. Questo significa che, questa condizione, questa proiezione di me come disabile sull’altro, e il prendermi cura dell’altro quasi come riscattare quello che non ho avuto io – prendermi cura in senso lato, perché comunque anche nel partner io immaginavo una persona autonoma – era più forte della pulsione sessuale, dell’orientamento sessuale stesso. Dato che ho sentito una forte discriminazione dei disabili verso le persone attratte dalla loro disabilità, io come disabile mai attuerei un simile atteggiamento. Ovvero, io aprirei assolutamente la porta a chi si avvicina a me anche per la mia carrozzina. Questo di sicuro. Quindi anche da un punto di vista relazionale la vedo in questo modo. Da un punto di vista relazionale anche oggi va male, perché cerco di stringere amicizia con molte persone come me e anche con molte persone disabili, però sia gli uni che gli altri tendono a chiudersi in un mondo quasi di fantasia. Il disabile tende a fantasticare su una vita che non ha e non vive secondo le proprie possibilità perché forse teme il giudizio degli altri andando avanti in una relazione. Mentre la persona che ha il desiderio di una disabilità, ne prova così tanta vergogna da rifiutare il confronto con un’altra persona. Per cui questo mi ha creato ulteriore frustrazione perché sono caduto in corrispondenze infinite via chat senza mai, o quasi mai – se non in alcuni casi sporadici – avere incontri reali.
A: Ultime due domande. La prima riguarda una possibilità che potresti avere. Prima di incontrarti, leggevo – per informarmi meglio su questa situazione – di una donna che vive la tua stessa condizione e che si era mossa per trovare una soluzione: un’operazione chirurgica. Ha avuto difficoltà a trovare medici compiacenti se non un medico che è stato disposto (mi scuso se il termine chirurgico è errato) a compiere una resezione del nervo sciatico il che implicherebbe un’impossibilità a muoversi. Al di là del costo – a quanto ho capito questa signora non ha fatto l’operazione per l’elevato prezzo dell’intervento – questa è una cosa che prenderesti in considerazione?
M: Assolutamente sì, purché, appunto, venga certificato da un punto di vista medico come un disturbo fisico in modo che gli altri non scoprano questa cosa, perché questa cosa potrebbe isolarmi dal mondo perché io verrei considerato matto e non paraplegico ma matto. Noi sappiamo bene che la mente prevale sul corpo, quindi se una persona ha un disturbo fisico è tutto ok, basta che sia autonomo e abbia un buon carattere, se invece ha un disturbo mentale viene automaticamente isolata in primis dalle stesse persone che hanno un disturbo fisico.
A: Ti faccio una domanda un po’ strana che c’entra poco con la psicologia e più con la gestione burocratica della situazione. Tu, piuttosto di realizzare questa cosa, saresti disposto a diventare un invalido riconosciuto però senza sussidio?
M: Sì, a patto che questo non insospettisca le persone che mi stanno intorno. Questa è una cosa molto importante. Per quanto riguarda la vicenda di questa donna, invece - storia che io ho letto molto bene, ha suscitato il mio interesse, è stata la prima informazione concreta che ho letto - mi ha lasciato perplesso una cosa. Lei, a differenza mia, ha un’ottima situazione lavorativa, ed il costo dell’operazione era di 16.000 dollari. Io 16.000 dollari non li ho ma se io avessi un lavoro fisso, 16.000 non sarebbero nulla per fare una cosa di questo genere. Il fatto che io, essendo in Italia dove la sanità è pubblica, è possibile giustificare un esborso del genere. La cosa comunque mi ha lasciato perplesso, perché io al posto di questa donna l’avrei fatta subito l’operazione per 16.000 dollari, anche perché questa donna era accettata dagli altri, nel senso che gli altri conoscevano bene la sua condizione e lei già viveva in carrozzina. Il problema grosso nel mio caso è evitare che la mia scelta possa essere scoperta come scelta volontaria.
A: L’ultima domanda. Questo video non ha una finalità diagnostica. Tu hai detto molte cose interessanti dal punto di vista clinico ma non siamo qui a fare diagnosi. Poi naturalmente i miei colleghi che vedranno questo video comprenderanno delle cose di valore clinico. Le altre persone invece si faranno naturalmente l’idea che vogliono. Ma io ti chiedo come mai ti sei prestato a fare questo video. Voglio dire, tu fuori onda mi ha riferito di essere molto attivo online. Quindi esiste una subcultura di persone come te: e con subcultura non intendo un termine spregiativo ma penso ad una cultura più piccola contenuta nella società più ampia. Tu mi dicevi che ti sei prestato a questa videointervista perché vorresti che questa condizione non emergesse come fenomeno spettacolarizzato ma potesse invece essere maggiormente compresa. Perciò tu che finalità hai? Cosa vorresti accadesse?
M: Vorrei che avvenisse la presa in considerazione di una realtà che esiste e che soprattutto non accadesse quello che è capitato e che sta capitando a me, nonostante internet abbia unito realtà diverse che sembravano eccezionali e invece erano solo rare, ciò che la gente si chiuda e che venga etichettata. Non vorrei che avvenisse quello che, fino a tempi recenti, accadeva con la transessualità. La transessualità prima era considerata una perversione, un’aberrazione, una vergogna, perché una persona, essenzialmente, mutilava il suo corpo per cambiare genere. Forse il mio caso non è lo stesso meccanismo, quindi è vero che le persone devo farsi aiutare. Io ho trovato molte persone che non volevano farsi aiutare. Se io avessi avuto la fortuna che hanno avuto queste persone di essere contattate da me che soffrivo dello stesso disturbo… Se io, quando ero all’apice di questa cosa quasi incontrollabile, avessi trovato un amico come guida, sarebbe stato molto molto più facile. Quindi io vorrei che anche la psicologia italiana prendesse in considerazione questo disturbo. Non solo. Io sono anche disponibile ad offrirmi, tra virgolette, come cavia di studio. Per me, collaborare su questa cosa, sia in prima persona, sia come aiuto ad altre persone è indispensabile, è quasi un modo per dire: “Ok, non ho potuto riempire la vita con la condizione che vorrei ma almeno la riempio per aiutare gli altri.” Un po’ come quella persona disabile che non può camminare, però è impegnata nelle associazioni per abbattere le barriere architettoniche e fare qualcosa per gli altri disabili. Allo stesso modo, vorrei che le persone come me non siano etichettate come malate nel senso dispregiativo del termine, oppure etichettate come persone che mancano di rispetto alle persone disabili, perché questo è l’atteggiamento più comune. Perché un fenomeno che esiste non lo dobbiamo fare emergere?
A: Va bene Marco, io ti ringrazio molto per la tua disponibilità. Eventualmente chi volesse contattarti per approfondire questo tema in termini scientifici questo tema può segnalarmi questa intenzione contattandomi tramite il mio sito internet www.psicologoinrete.com. Ti ringrazio molto. In bocca al lupo per la tua vita e un saluto a tutti coloro che hanno visto il video.
M: Grazie a te!
Questo testo è trascrizione di un mio video - GUARDA IL VIDEO (Seconda Parte)