Cosa dire nel momento più difficile
Il lutto è una di quelle esperienze che difficilmente possono essere rilette positivamente, anche dopo che è passato del tempo dall’evento. Avvertiamo una contraddizione che ci spaventa quando perdiamo qualcuno una contraddizione fra il nostro dolore e la vita che va avanti, la gente che vediamo sorridere per la strada, il sole che sorge e ci regala una giornata serena, una giornata splendida. Non esiste un modo giusto di piangere una persona che se n’è andata, la quale, con la sua dipartita, apre un buco nella nostra realtà che a noi tocca colmare, e se non vogliamo che quel buco resti aperto per il resto della nostra vita dobbiamo sforzarci di integrare questa esperienza nella nostra esistenza, sforzarci di capire delle essenziali verità.
Capire la semplice verità delle cose, cioè che nulla possediamo e che tutto ci viene dato in prestito temporaneamente. Che questa possibilità di perdita dà valore a ciò che abbiamo qui ed ora, è forse la chiave. Onorare la memoria e vivere. Nulla più di questo ci viene chiesto dalla morte, dalla vita e, voglio credere, dalle persone che se ne sono andate poiché esse muoiono davvero solo se vengono dimenticate. Se non esiste un modo giusto di vivere il lutto, esiste tuttavia un modo corretto di approcciarsi a una persona che sta vivendo un lutto, un modo di comunicare con il dolore degli altri e comunicare il nostro dolore per loro. In effetti una persona che vive un lutto non ha bisogno di troppe parole, non ha assolutamente bisogno di sentire che anche voi in passato avete perso questo o quel parente (questo non è consolante) e che voi avete brillantemente superato il dolore (questo può ulteriormente avvilire chi già soffre).
Chiedete alla persona come sta, come si sente, aiutatela nelle faccende quotidiane se è il caso ma fate in modo che non smetta del tutto di tenersi occupata, soprattutto ascoltatela senza sforzarvi di trovare delle parole giuste. In questo caso le parole giuste sono quelle non dette, è la presenza fisica, un abbraccio, uno sguardo, una lacrima, insomma un segnale che possa dire alla persona che sta soffrendo per una perdita che noi ci siamo, la sentiamo, la avvertiamo emotivamente. Non cerchiamo di minimizzare la perdita, d’altro canto evitiamo di accrescere il dolore con racconti personali terrificanti o senza speranza e, empaticamente, cerchiamo di rispettare le idee spirituali delle persone. A esempio, seppur un credente possa pensare di fare una cosa buona e giusta, parlare a un non credente della morte di un caro come della “volontà di Dio” non è affatto una cosa buona, né giusta. Quando preoccuparsi poi per un lutto non elaborato? Più che badare al tempo in senso stretto, è bene notare quanto il lutto sta creando un blocco o un limite alla vita, cioè quanto la persona, non superando il lutto, diventa incapace di godere delle situazioni sociali, degli interessi, ha problemi a funzionare nella quotidianità (magari trascura l’igiene personale), abusa di alcol o altre droghe per compensare il dolore o anche sentimenti di colpa, rabbia e amarezza. Questi comportamenti possono essere comuni nelle prime fasi del lutto ma se dopo un tempo ragionevole sono ancora presenti, aiutate questa persona a cercare assistenza specialistica. Insomma, la morte di una persona cara non è cosa che possa essere vista da un lato positivo, ma il lutto può essere una fase non solo di dolore ma anche di affetto, di empatia, di amicizia e di amore, insomma dei migliori sentimenti che albergano in noi e che si rivelano essere la migliore cura per il lutto come in per tanti altri dolori.
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